Esperienze e spunti
14. Quando non sei sicura di quello che hai scritto.
Riprendo l’ultimo articolo della rubrica “Vita da aspirante scrittore” pubblicato su FB il 28 settembre 2023, vale a dire:
13. Quando il libro è finito…
Ma tu non riesci a staccarti, è vero, proprio non ce la fai. Apri l’ennesima edizione in Word, ritocchi le virgole, cerchi sinonimi, rivedi l’impostazione, modifichi il titolo (lo modifichi almeno tre volte prima di ritornare all’inizio). Scrivi la nota biografica, la sinossi, imposti la mail. Contatti persino il possibile editore e poi non clicchi su invio e … rimandi a domani,
Perchè?
Vuoi rileggere ancora una volta!
Una vera tortura. Prima o poi devi cliccare invio: è un ordine!
Quindi, passiamo al 14° spunto, ovverossia: quando non sei sicura di quello che hai scritto.
Perchè?
Bene, ora hai inviato il libro a una casa editrice e questa ti contatta in tempo record.
Fissiamo un appuntamento per un pomeriggio che già si riversa nella notte, umido, il solito grigio scuro piemontese condito da una nebbiolina spettale. Mi accolgono e mi offrono un caffè. Io mi sforzo di apparire tranquilla. Osservo l’unica stanza minuscola disponibile, l’arredamento, la stufetta accesa sotto le gambe dell’assistente che ha sempre freddo in quell’edificio antico con camere e androni ottocenteschi, enormi e poco adatti alla vita moderna.
Sento crescere in me strane sensazioni.
L’ editore, invece di parlare del manoscritto che ho inviato appena qualche giorno prima chiede informazioni sul mio conto. Chi sono? Cosa faccio nella vita? Se sono all’esordio? Dice che mi hanno tanto raccomandata.
Non fa nessun cenno alla mia opera.
I dubbi ora non sono solo sensazioni e la mia voce non sgorga così limpida come prima.
Chiedo:” Qual è il suo giudizio sul romanzo noir che le ho inviato?”
Risponde:”Non l’ho letto, ho dato uno sguardo alla sinossi. Lo leggerò quando firmeremo il contratto e sarà impaginato.”
Rimango ammutolita.
Tento di non far trapelare nulla del mio sgomento.
La gentile assistente mi sporge il contratto editoriale.
Lo prendo e lo trattengo in grembo: sono seduta su una seggiola abbastanza scomoda in un microscopico spazio surriscaldato, sto sudando.
Fisso l’editore: un uomo sui quarantacinque anni, bruno, magro, con la voce e la pelle di un fumatore. Porta gli occhiali con una montatura nera su occhi neri, un tantino acquosi, come se si fosse appena alzato dal letto. Ha un aspetto trasandato, quasi malaticcio.
L’uomo mi squadra e appena prendo il contratto parte con una filippica sulla necessità della collaborazione tra casa editrice e scrittore, soprattutto nella promozione del libro: le prime cinquanta copie stampate sono a mio carico, meglio, io devo organizzare delle presentazioni e venderle. In caso contrario il loro costo mi sarà interamente addebitato.
Ma cosa ci vuole? Organizzi degli incontri, vedrà il suo libro lo venderà immediatamente.
Indispensabile, fondamentale e soprattutto doverosa collaborazione!
Annuisco e non aggiungo altro. Secondo voi, posso dire qualcosa davanti a tanta convinzione.
Mi regala un libro per sugellare il proficuo incontro e la nuova collaborazione che dà per scontata.
Saluto, esco con il contratto infilato in malo modo nella borsa.
La notte è calata e faccio fatica a trovare il viottolo dell’uscita.
La casa ottocentesca, sede di associazioni e corsi serali, è situata in un bellissimo parco, con alberi, siepi, ombre, anfratti.
E io mi chiedo: sei sicura di quello che hai scritto?
Stupida.
Come sempre colpevolizzo me stessa per essermi trovata in una situazione “tragico-comica” e pensare che alcuni miei conoscenti hanno pubblicato con questa casa editrice: erano entusiasti, euforici, contenti di collaborare con dei veri professionisti.
Cosa non farebbero gli aspiranti scrittori per vedere pubblicata la loro opera?
Pagano, con l’illusione di pubblicare con una casa editrice o… forse era solo una tipografia?
Nel caso dovessi pagare meglio autopubblicarsi. Lo trovo più onesto, più conveniente e magari ti scegli un editor che sappia il mestiere suo invece di affidarti a una povera assistente infreddolita e anche un pochino irritata. Non certo da me!
Non mi hanno più vista.